
Ormai da diversi anni mi occupo di storia e tradizioni enogastronomiche locali, e come chi legge questo blog sa, ho raccolto finora oltre 300 menzioni di vitigni autoctoni dell’Emilia-Romagna, alcuni dei quali per altro sono stati recuperati sul territorio e conservati in vaso nella mia collezione privata, a supporto degli obiettivi di conservazione e divulgazione del Circolo Contadini Custodi.
Tuttavia, da tempo mi trovo davanti a una curiosa peculiarità. In anni di approfondite ricerche tra archivi, biblioteche e documenti storici consultati nei vari comuni, non ho trovato alcuna menzione del vitigno Grechetto Gentile o Pignoletto, orgoglio e praticamente unico vitigno autoctono alla base della DOC dei Colli Bolognesi. Com’è possibile? Forse l’errore è stato cercare esclusivamente il nome “Pignoletto”, e non “Grechetto Gentile”, nome effettivo del vitigno da cui deriverebbe questo vino?
Eppure, anche sotto questa denominazione, emergono alcune contraddizioni e zone d’ombra.
Cercherò dunque di riordinare le idee emerse dalle mie ricerche e illustrarvi alcune riflessioni a riguardo.
Origini antiche
La prima cosa che viene citata quando si cercano le origini di questo vitigno è una nota nel Naturalis Historia di Plinio, in cui verrebbe menzionata, non si capisce dove, un vino Pinum Laetum. Io non so voi, ma nelle edizioni del Naturalis Historia che ho consultato, non ho trovato nulla del genere. Si dice anche che ne tratti lo scrittore medievale Pier De Crescenzi nel 1300. Anche qui, non ho trovato conferme nei testi che ho recuperato, ne’ come grechetto, ne’ varianti del termine Pignoletto. De Crescenzi accenna a un Pignolo di Milano, rosso…
La bibliografia è ricca di riferimenti a uve “greche” tra cui il famoso testo del Trinci (siamo già nel Settecento) dove viene citato un Grechetto OSSIA Malvasia (per la precisione “Malvasia bianca o sia grechetto”). Va va bene, che le Malvasie abbiano origini in Grecia è risaputo, ma questo cosa c’entra con il nostro Grechetto? Sfogliamo il disciplinare del Pignoletto che magari ci capiamo qualcosa. Riporto qui il testo per intero:
Quando i romani, circa due secoli prima della nascita di Cristo, sottomisero ed unificarono sotto il segno della lupa i territori abitati dalle tribù dei galli boi, avevano probabilmente mille motivi per farlo, non esclusi quelli legati alle ricchezze agricole di tali zone.I filari di vite erano maritati ad alberi vivi, secondo l’uso introdotto dagli etruschi e sviluppato successivamente dai galli. Tale metodo infatti, lo si chiama “arbustum gallicum”, particolarmente adatto non solo alle terre basse ed umide della pianura, ma soprattutto si era incrementato notevolmente nella zona collinare.È accertato che da tali terreni, soprattutto quelli collinari posti a sud di Bononia, i nostri antenati latini producessero vini che li appassionarono moltissimo. Le terre dell’agro bononiense erano coltivate dai veterani di tante campagne militari in tutto il mondo allora conosciuto, per cui la bevanda bacchica era palesemente bevuta, gustata ed apprezzata. Sono state ritrovate antiche Olle di conservazione del vino nella zona della località di Mercatello posta al confine tra le località di Monteveglio e Castello di Serravale1.
Plinio il Vecchio – I° sec. d.C. – nel capitolo “Ego sum pinus laeto” tratto dalla monumentale opera di agronomia “Naturalis historia”, enuncia che in “apicis collibus bononiensis” vi si produceva un vino frizzante ed albano, cioè biondo, molto particolare ma non abbastanza dolce per essere piacevole e quindi non apprezzato, poiché è risaputo che durante l’epoca imperiale era gradito il vino dolcissimo, speziato ed aromatizzato con innumerevoli essenze, inoltre, sempre molto “maturo” in quanto i vini giovani non erano in grado di soddisfare i pretenziosi palati della nobiltà. Erano trascorsi poco meno di tre secoli dalla conquista romana – 179 a.C. – che il vino era radicalmente mutato, ma non le qualità e caratteristiche uniche di tale nettare2.
Riprendendo il cammino alla ricerca di tracce che ci possano condurre ai vini che oggi degustiamo, ci imbattiamo nelle biografie dell’operosità di tali monaci-agresti che sono giunte fino ai giorni nostri, in cui si menzionano i notevoli impulsi dati per lo sviluppo della vite. Si sparsero in tutte le regioni italiane e nel migrare verificarono che sulle colline bolognesi si produceva un buon vinello dorato e mordace, appunto frizzante.OMNIA ALLA VINA IN BONITATE EXCEDIR – decisamente “…un vino superiore per bontà a tutti gli altri…” e bevuto non solo durante le pratiche liturgiche, ma anche con gioia alla tavola del nobile e del volgo, ottenuto da uve conosciute ed apprezzate come pignole! I secoli che da allora sono trascorsi per giungere fino ai giorni nostri, sono stati indiscussi testimoni di innumerevoli fatti e citazioni riguardanti i vini delle nostre splendide colline bolognesi. Della vite coltivata sulle colline di Monteveglio, nelle adiacenze della monumentale Abbazia omonima ne parla il documento risalente al 973 d.C. nel quale il Vescovo di Bologna Alberto, concedeva al Vescovo di Parma, insieme all’Abbazia di Monteveglio, circa trenta tornature di vigneti. Nel 1300, Pier de’ Crescenzi, nel più importante trattato di agronomia medievale “Ruralium commordorum – libro XII” descriveva le caratteristiche organolettiche del “pignoletto” che si beveva allora, in quanto il vino, oltre che maggiormente prodotto, era quello più gradito per piacevolezza e per la vivace e dorata spuma. Agostino Gallo ne “Le venti giornate dell’agricoltura” del 1567, sollecitava di piantare le uve pignole in quanto per la notevole produzione, permetteva un florido commercio perché sempre ricercate. Medico e botanico di Papa Sisto V, il Bacci, nel personale trattato del 1596 “De naturalis vinarium istoria de vitis italiane”, asseriva le “…rare et optime…” qualità intrinseche dell’uva pignola. Così pure Soderini, noto agronomo fiorentino, sempre in quegli anni, ne confermava le caratteristiche. Il Trinci – 1726 – pone in evidenzia le caratteristiche di tale vitigno: l’odierno pignoletto si riscontra nella sua quasi totalità di tali affermazioni, per non dire che sono le medesime.Ulteriori conferme sono riportate nel “Bullettino Ampelograficho” del 1881, in cui è nominata l’uva pignola prodotta nelle colline poste a sud dell’urbe di Bologna, la cui assomiglianza con l’attuale produzione è stupefacente, e non lascia più adito ad altri dubbi di sorti.Lo statuto di Bologna del 1250 ordina la costruzione della “Strada dei vini” per trasportare con sicurezza verso Bologna i vini ottenuti nelle colline a sud della città.A partire dal 1250 risalgono i primi estimi del comprensorio vitivinicol
Ah, quindi viene fatta la comparazione uve Pignole – Pignoletto… Peccato che le uve Pignole in letteratura siano per lo più a bacca nera. Sull’etimologia di queste uve Pignole ci arriviamo dopo, perchè ne Per Un Sublessico Vitivinicolo la questione è esplorata nel dettaglio. Vi anticipo già però che la radice di Pignola è la stessa di Pinot…
Dal Trinci, già citato: “L’uva pignola rossa commincia a maturare la seconda settimana del mese d’agosto, diventa d’un colore così pieno, che s’accosta quasi al nero; … Fa il vino molto colorito o del blando Pignolo (da “Il Roccolo“, ditirambo di Venezia del 1754). “Maturata che sia questa specie di uva diviene quasi nera” scriveva Giovanni Cosimo Villifranchi nello stesso secolo.
Vorrei citare la rivista Vignevini del 1933 che esplica chiaramente questo concetto: “non esistono precise documentazioni scritte” sulla storia di questo vitigno se non un accenno alle “uve Pignole” menzionate da Tanara nel 1644, senonchè in quel testo le uve Pignole vengono dette non adatte da far vino! Riporto il testo citato:
“Pessimo vino e non serbe vole esciva dalle uve lupine vino brusco davano la pomoria e la peregrina3 saporito era il vino della sanpiera, rosso era quello della bornachina e della milanella, rossetto e sanissimo quello della tosca, rosso brusco e serbevole esciva dalla guiaresca e dalla coccobergamo Loda anche la grilla la lambrusca ,il moscatello nero delle quali regina era l’uva d oro quella che nella Francia dava il claretto che si porta per bevanda singolare in tutto il mondo Fra le uve mangereccie preferivansi la lugliatica la tremasina la pignola la pergolese la chiocca“
Decidere infatti di seguire la via dell’uva detta Pignola è complesso e pericoloso, perché a seconda delle fonti consultate queste uve si coltivavano a Lodi
Le viti di uve assortite Moretta, Balsamina, Vernaccia che marcisce difficilmente, Bonarda, Corbera, Pignoletto, Tribiano Tinturier e Lambrusca – queste due ultime qualità danno vino di molto colore e assai spiritoso tutte colle radici di tre anni si vendono lire 10 al cento
Gazzetta della Provincia di Lodi e Crema, 1854
E poi a Pavia e Piacenza c’è una Pignola di San Colombano citata da Gallesio nel 1843 in “Annali civili del regno delle Due Sicilie”.
L’uva Pignola è citata come uva dolce da mangiare e detta anche aglianico.
Secondo l”Annuario vinicolo d’Italia 1923-1924″ ci sarebbe una Pignola molto famosa nella zona di Sondrio.
Così per non farci mancare nulla, anche Verona dice la sua: ne Gli Annali della Sperimentazione Agraria del 1939 “Forsellina Forzelina – Il Pollini descrive sommariamente tra le uve veronesi la Forzelina o Pignola ma avverte che è differente dalla Pignola della Valpolicella vitigno oggidì pressochè scomparso. Nei nostri ripetuti sopraluoghi tuttavia mai si è sentito accennare ad una uva Pignola come sinonimo di Forcellina. Secondo il Pollini la Forzelina sarebbe colti vata nella Valle d Illasi e nelle adiacenti – non è possibile stabilirne però la sua identi cità con il vitigno da noi descritto mancando di notizie ampelografiche dettagliate”.
E poi ci sarebbe anche il Terrano Pignoletto che veniva prodotto in Istria (“Un bel dipinto nel Castello di Miramare rappresenta la vendemmia in queste regioni all epoca di Roma imperiale – Il vitigno sui colli è costituito dalle qualità bianche Gargagna, Pergolone e Malvasia ei vini che se ne ricavano sono molto alcoolici – 10-12% in volume di acidità normale e profumatissimi. Le qualità rosse sono il Refosco e il Terrano d’Istria che predominano – si coltiva ancora il Marzemina, il Pignoletto e la Rossara (Minerva Argaria – viticoltura ed enologia nel Venezia Giulia, 1916).
Meglio soprassedere?
Il Pignoletto nell’Ottocento
Cerchiamo allora direttamente il termine Pignoletto? Allora, escluse le menzioni del granoturco che condivide lo stesso nome (coltivato anche in Romania a inizi Novecento), l’unico Pignoletto che emerge prima della fine dell’Ottocento è un vitigno a bacca nera di zona lombarda, coltivato anche nel milanese.
Ne “Il Nuovo Dizionario Universale della Lingua Italiana” leggiamo “PIGNOLO e PIGNOLETTO sm Pinòlo Pinocchio Ròs T Pallav Ver P Spècie d uva nera milanese E vino di questa Cresc Red Gh (1894)
La prima descrizione di un Pignoletto che potrebbe essere quello che stiamo cercando è relativa a una coltivazione di Forlì, nel 1879, sono infatti citate due uve a bacca bianca: un Pignolo e un Pignoletto detto anche Pignolino. In descrizione viene detto “verde chiaro Il pignolo di Bertinoro è identico a quello di Predappio e somigliante all uva Santa Maria di Perugia, ha il grappolo più lungo meno serrato del pignolo di Meldola e del Pignolo di Predappio – pel resto sono tutti identici vitigni i quali manifestamente nella eletta tribù dei pinots bianchi di Francia – Invece la pignola Piemonte e il pignolo di Toscana sono vitigni rossi identici al vède della Provenza”.
Nel 1888 e 1890 il Pignoletto compare ancora, sempre a Forlì, dove viene menzionato relativamente alla sua resistenza alla peronosporta “Generalmente quelle piante che al cessare del verno si vedono maggiormente assette da rogna sono quelle che durante l’estate si trovano più gravemente colpite dalla peronospora. Le varietà di viti che quest’anno sono apparse più resistenti all infezione sono: l’Uva d’oro dell agro ravennate, il Negrettino la Rossola, il Trebbiano, il Pignoletto il Cabernet e il Canaiolo” (1890) ” (tratto da “Relazione sull’operato della Commissione ampelografica provinciale di Forli”, Annali della Stazione Agraria di Forlì – fascicolo XVIII, 1889)
Questo sarebbe particolarmente buffo perché confuta l’idea che il termine pignolo venga dalla forma del grappolo “a pigna”. Ma soprattutto ci si collegherebbe all’ipotesi secondo la quale il Pignoletto sia omonimo di Rebola Riminese, un vitigno, quello si, menzionato sin dal 1300.
Il Pignoletto nel Novecento
In un articolo degli Annali della Società Agraria di Bologna del 1912, del cavalier Prof. Luigi Zerbini relativo alla potatura delle viti da vino in alberata, menziona un grande numero di varietà comuni nel bolognese all’epoca, riporto per completezza tutto il passaggio che comincia con un elenco delle più comuni che si trovano in questo tipo di coltivazione:
Uve Bianche
- Albana
- Albanone
- Alionza
- Angela
- Bianchino4
- Bottona
- Forcella
- Gatta
- Lugliatica
- Malvasia
- Montù
- Montoncello5
- Pagadetto (penso sia Pagadebit o Bombino Bianco – Mick)
- Paradisa
- Pomoria
- Querzola
- Schiava
- Trebbiano
- Vernaccia
Uve Nere
- Albana
- Aleatico
- Durella
- Lambrusco
- Marzemino o Barzemino
- Maiolo
- Morina
- Moscatello
- Negrettino
- Sampiera
- Sangioveto
- Uva d’oro
Varietà Americane
- Clinton
- Isabella (uva fragola)
Fra tutte queste varietà la pratica ha dimostrato che quelle che meglio corrispondono per essere allevate, vuoi per la rigogliosa vegetazione, vuoi per la buona e costante produzione, vuoi – fino ad un certo punto – per la resistenza alle malattie crittogamiche sono le seguenti: L’Albana, il Montù ed il Trebbiano per quanto riguarda le uve bianche, il Lambrusco e l’Uva d’oro per le uve nere di varietà europee, per ciò che riflette le viti americane il Clinton e l’Isabella.
Vengono poi in seconda linea le varietà di uva bianca: Forcella, Vernaccia, Querzola; per le uve nere: Negretto, Marzemino, Morina.
Meriterebbero, sempre nell’allevamento ad alberata, di essere più largamente introdotte e diffuse, alcune varietà che hanno già dato buona prova sotto ogni aspetto, quali ad esempio fra le uve nere: le due varietà di Lambrusco: l’oliva e quello a graspo rosso, il Croetto, il Gropellino, il Pignoletto.
Vale la pena sottolinearlo: Pignoletto come vitigno a bacca NERA nel 1912 secondo la Società Agraria di Bologna.
Fra le varietà bianche il Trebbiano d’Empoli, poiché in gran parte esiste già quello di Romagna.
Che le varietà citate come le migliori ad essere allevate, lo siano realmente, si può, per alcune, desumere anche dai dati forniti dal loro saggio analitico, saggio che ebbi occasione di eseguire quest’anno su diversi campioni di uve, nel luogo di produzione, per conto dell’On. Ministero di Agricoltura, dietro incarico affidatomi dal Prof. Tivoli, direttore del nostro R. Laboratorio di Chimica Agraria6.
Da Un Sublessico Vitivinicolo
Trascrivo qui un estratto delle ricerche fatte nel Per un sublessico vitivinicolo di Thomas Hohnerlein-Buchinger. Un testo tecnico e complesso per il quale mi prendo la libertà di aggingere qualche not esplicativa. Qui vedrete molti dei riferimenti da me riportati prima sull’uva Pignola a bacca rossa conosciuta a Milano in epoca medievale. Questo testo penso che elimini una volta per tutte le fantasiosi ricostruzioni che associano la Pignola al Grechetto Gentile che conosciamo oggi.
- pignuolo, che molto è amato appo Milano (1350 ca., CrescenziVolg. B)
- L’ebreo Marcuzio cita Leonardo di Jalmicco per la mancata consegna di 8 conzi di vino pignolo (1422, ASUdine, RossittiVitiFriuli 90)
- Giovanni di S. Guarzo si riconosce debitore verso l’ebreo Moyses di 5 conzi di vino pignolo (1454, ASUdine, ib.)
- Giacomo di Galliano promette di dare all’ebreo Moyses 12 conzi di vino pignolo (1458, ASUdine, ib.)
- Lorenzo Pisot di Galliano promette di consegnare all’ebreo Moyses 4 conzi di vino pignolo bianco a soldi 56 il conzo (1459, ASUdine, ib.)
- Ambrogio di Cormons promette di consegnare all’ebreo Moyses 10 conzi di vino pignolo di Brazzano a lire 4 il conzo (1466, ASUdine, ib.)
- Nebiol Milanese, ch’io tengo esser quello, che da Milanesi vien chiamato Pignola (1606, Croce 10)
- Quivi (su la collina di S. Colombano nel territorio di Lodi)… si chiama pignuolo (1691, Redi, TB)
- Pignuola propria de’ colli di San Colombano (1784, Mitterpacher 2,14)
- mi è riuscito di ottenere dalle uve nostrali, quali il marzemino, schiava, pignola, groppello, e vernaccia, di minuti grani miste insieme, un vino, che giunto quasi all’età di anni sette, è tuttora spiritoso, e delicato con il suo natural colore di rubino (1789, Bajoni 7)
- nondimeno Marzemino, la Vernaccia ed il Groppello ovvero uva pignola sono generalmente conosciuti, e sono anche secondo le sperienze da me fatte, e la pratica delle nostre Colline, le uve migliori e più adatte al Poggio ed al Piano (1789?, AgostiRegole 22)
- (Viti della provincia di Cremona) Pignolo (1825, Acerbi 42)
- (viti de’ Colli dell’Oltrepò Pavese) Pignolo (1825, ib. 58)
- (Uve del distretto di Schio) Pignola (1825, ib. 218)
- Pignola veronese… Nella valle Pulicella e altrove è piuttosto fertile (1825, ib. 236)
- Il Pignolo è l’uva classica della Lombardia milanese: è un vitigno vigoroso che si adatta egualmente al colle e alla pianura e che fallisce di rado… Nei colli di San Colombano nel Lodigiano è il dominante… La Brianza lo conta per una delle uve migliori dei suoi vigneti, ma non vi primeggia. Nell’Oltrepò Pavese e nelle colline del Piacentino la sua coltura è alternata con quella della Moradella… Il Pignolo riprende le sue qualità nel Novarese… Le colline della Valdisesia sono coperte di Pignolo (prima del 1839, GallesioPomona)
- Pignolo bianco – origine friulana. Pignolo di Piemonte (1863, RossittiVitiFriuli 62)
- Uva pignola bianca o Claretta di Nizza (1876, Casaccia)
- Questo vitigno prende il nome di Pignolo Spanna a Gattinara ed a Grignasco (1879, BollAmp, Molon 966)
- Pignolo di Lombardia… Pignolo di S. Colombano (1906, Molon 965)
- Sempre sulle colline del Friuli orientale troviamo… poi il Pignolo (1971, ZacconeVini-2,28)
- Il Valtellina, di regola, si compone, per un 75%, di uve raccolte dal vitigno Nebbiolo, e 25% di uva Pignola, detta così perché i grappoli hanno, appunto, forma di pigna (1977, Soldati 79)
Fonti lat. mediev.:
- quelibet vicinia… possint habere porofianum unum qui possit vendere vinum bunipergun et vinum pignolum episcopatus Laude ad iustam mensuram sibi datam per comune Laude (1233, Bosshard 209)
- Sunt et aliae multae species uvarum nigrarum, quae propter varias conditiones malas minus approbantur, sicut est Pignolus qui multum diligitur apud Mediolanum in arbustulis, sed apud nos non bene fructificat (1320 ca., Crescenzi, Faccioli 1987,14)
- Nebiolium, et pignolium, quod casu incidens dictas vites incurrat paena solidorum quiunque (1512, Stat. La Morra, Ratti 1971,99)
- Ultra praedictum Sancti Ioannis castrum, eodem situ in meridiem, Burgum Novum… In cuius agri… Pineolaq; vina cognominantur in toto etiam Placentino communia (1596, Bacci 6,313)
- Ticinum,… quae posteris Papia dicta est,… Ut solet vero quaeque tellus suas peculiares colere fruges, inter communia, singulare habet uvas genus, quam Pignolam diximus (1596, ib.)
- (Ad Laudum) Participat et uvis, et vinis Pineolis, quas Ticinij proprias diximus, et in Placentinis ex adverso collibus propagari (1596, ib. 6,316)
- Uva Pignola in Placentino ed ad Ticinum, saporis aromatici, compactos in ipso racemuolo, Pinearum instar habet acinos subrubentes, nigros succosos (1661, SachsAmpelografia 101)
L’uva pignola nonché il vino che se ne ricava vengono prodotti presumibilmente a partire dal Duecento prevalentemente nell’Italia settentrionale. I centri della coltivazione di questo tipo d’uva sono la Lombardia (Novara, Valsesia, Valtellina, Oltrepò Pavese, Pavia, San Colombano, Burgum Novum, Lodigiano, Mediolanum, Cremona), l’Emilia (Piacentino), il Veneto.
Le ottime Uve, delle quali si fa tal Vino (in Monte Pulciano, nda) della specie rossa, almeno il migliore, sono il Mammolo, il Vajano, e il Pignuolo (sec. XVIII; ib 2,34)
Una delle uve che entrano nella composizione del vino di Nizza… e che concorre a dargli la fragranza e il secco che lo distingue (1876, Casaccia)
Il Pignolo era una delle specie preferite per creare vini tagliati soprattutto per la sua capacità di prestare più intensità a varietà più deboli (producendo colore, odore e sapore). Ciò valeva in prima linea per il Pignuolo rosso in Toscana.
Stima e qualità
- Sono buone etiandio le pignole, le quali non solamente fanno dell’uva in copia; ma ancora il vino loro è buono semplice, ed accompagnato (1565, GalloAgric-1,66)
- Pignola:… fa buoni vini naturali e gustosi (1606, Croce 10)
- abbiamo la torbiana, l’albana, la tosca, che fanno generosi e ottimi vini, e poi la rossetta, la pignuola, la marzemina, la duora (1614, CastelvetroFirpo 159)
- si chiama pignuolo e per la soavità e per la generosità, secondo il giudizio di essi paesani, è creduto potere stare a tavola ritonda con ogni altro vino d’Italia (1691, Redi, B)
- da piacere infinitamente a beversi anche solo (sec. XVIII, VillifranchiOenologia-1,107 seg.)
- È uva buona da far vino, il quale però è di gran forza (1825, Acerbi 58)
- Il vino che dà questa uva è buono, di molta forza, ben colorito… Il prodotto è generalmente abbondante (1825, ib. 218)
- In tutti i tempi esso vi ha goduto di una riputazione distinta (prima del 1839, GallesioPomona)
- Gode molta riputazione nel Genovesato (1876, Casaccia)
- botas viginti vini pignoli pro usu et sanitate sue persone (1398, Cecchetti, ArVen 30,282)
Il Pignolo certamente non è mai stato un prodotto di prima classe e di preminente reputazione. Ciò nonostante produceva evidentemente un buon vino che veniva consumato con piacere (uva buona da far vino, riputazione distinta). Per la sua forza era stimato come rimedio terapeutico (pro usu et sanitate).
Carattere del vino e dell’uva
- Pignola: è buona uva, folta: ha la scorza resistente alla ingiuria del tempo: non marcisce, e matura bene (1606, Croce 10)
- Fa il vino molto colorito; odoroso, sottile, e spiritoso (prima metà sec. XVIII, Trinci-1,74 seg.)
- Pignuolo rosso, e in qualche luogo volgarmente Prugnolo =… e ne fa molta… Fa il vino molto colorito, odoroso, sottile, e spiritoso (sec. XVIII, VillifranchiOenologia-1,107)
- Quella che fa vino più durevole; quella che il fa più acido dura di più (1784, Mitterpacher 2,14)
- acini… di sapore grato spiritoso (1823, RossittiVitiFriuli 82)
- di color nero carico, molto succosi di sapore dolce-aromatico ib.
- Acini… di un verde-rossiccio, succosi, di sapor dolce, ma alquanto austero… Uso. Per vino gagliardo, spiritoso, nero (1825, Acerbi 42)
- Il mosto che ne sorte è dolce e sciolto, e il vino bianco, asciutto e spiritoso (1876, Casaccia)
- Sunt et in censu rubeorum validiora, quae et gratum sapiunt dulcorem Pineolaq;… et sapore atque etiam odore delectant aromatico (1596, Bacci 6,313)
L’uva si adatta al clima piuttosto rigido dell’Italia settentrionale (resistente alla ingiuria del tempo, non marcisce), produce abbondantemente e di regola è di sapore dolce aromatico. Crea un vino sottile, spiritoso, gagliardo.
Uva da tavola
- Dell’Uve Lugliatech, Tremarine, Pignolo, ò Pergolese, e altre come di quelle, che non si faccia Vino, ne parlerò trattando delle viti (1644, TanaraEconomia 43)
- queste tre sorti di uve per esser dolci, e buone da mangiare (come anche la pignola) (1679, AgostinettiFattore 89)
La Pignola viene anche usata come uva da tavola (buone da mangiare).
STORIA LINGUISTICA
It. pignuolo m. ‘specie di uva bianca o rossa, diffusa soprattutto nell’Italia settentrionale’ (1350 ca., CrescenziVolg. B; 1644, TanaraEconomia 43; sec. XVIII, VillifranchiOenologia-1,107; 1797, D’AlbVill; 1825, Acerbi 42; prima del 1839, GallesioPomona; 1901, Bruttini; 1990 Veronelli 250), lig.or. (Statale) pińǿ Plomteux, APiem. (Magliano Alfieri) pińǿ (Toppino, AGI 16,537), b.piem. (gattinar.) pińǿ Gibellino, emil.occ. (piac.) pignö Foresti, parm. pgnoéul (Peschieri; Malaspina), romagn. pińǿl Ercolani, tosc. pignolo TargioniTozzetti 1809, ancon. pinó Spotti.
It. pignuolo m. ‘specie di vino ricavato dall’uva pignola’ (1691, Redi, B; 1754, AcantiRoccolo 53; 1990, Veronelli 250), venez. a. (vino) pignolo (1422-1466, ASUdine, Regesti sul vino, RossittiVitiFriuli 82).
It. pignolo m. ‘specie di vitigno che produce uva bianca e rossa’ (1879, BollAmp, Molon 966), ancon. pinó Spotti.
It. pignola f. ‘specie di uva rossa o bianca’ (ante 1570, GalloAgric-3,92; 1606, Croce 10; 1614, CastelvetroFirpo 159; 1679, AgostinettiFattore 89; 1784, Mitterpacher 2,14; 1789, Bajoni 7; 1825, Acerbi 218), lig.or. (Val Graveglia) pińǿa Plomteux, lomb.alp.or. (posch.) pińǿla Tognina, lomb.or. (berg.) pignòla Tiraboschi, mant. pgnocula Cherubini 1827, romagn. pignola Mattioli, faent. ~ Morri, ven. ~ Coltro, istr. (Pirano) ~ Rosamani, trent.or. (valsug.) ~ Prati.
It. (uva) pignola agg./agg.sost. ‘specie di uva rossa o bianca’ (prima metà sec. XVIII, Trinci-1,74 seg.; 1789?, AgostiRegole 22; 1977, Soldati 79), lig. (uga) pińǿa (Penzig, ASLigSNG 8), gen. (uga) pigneua (Paganini; Casaccia; Frisoni), piem. (uva) pigneula DiSant’Albino, mil. (uga) pignoevla Cherubini, lomb.or. (bresc.) (ua) pignoela Melchiori, vogher. (ü̇ga) pińǿla Maragliano, *(ü̇ga) pńǿ ib., mant. (ua) pignoela Arrivabene, (üva) pińǿla Bardini, venez. (ua) pignola Patriarchi, ven.centro-sett. (vittor.) pignola Zanette.
Derivati: ven. pignoletta f. ‘uva pignola probabilmente con grappolo o acini più piccoli’ Coltro.
Istr. (Pòrtole) pignolina agg. ‘uva pinocchina, minuta come pinoli’ Rosamani.
Ven. pignolona f. ‘uva pignola probabilmente con grappolo o acini più grossi’ Coltro.
Le denominazioni it. pignolo, pignola risalgono ad un lat. PINEOLUM ← PINEA ← PINEUS ‘appartenente al pino’ (REW 6511). Il suffisso rimanda al carattere diminutivo della formazione. Presumibilmente la parola trae origine dalla forma caratteristica del grappolo, serrato a mo’ di pigna, o dell’uva. L’esito della desinenza –ǫlu > –olo ← -*ǫlus nell’Italia settentrionale è di norma –ol oppure –öl o –ǿl, sviluppo che si può osservare sia nelle forme maschili sia in quelle femminili. La parola è diffusa soltanto in Italia settentrionale e nella Toscana. Compare per la prima volta nell’attestazione lat.mediev. vinum pignolum (1233, Bosshard) e lat.mediev. pignolus ‘specie di uva’ (1320 ca., Crescenzi). Ciò nonostante pare logico che la parola già esistesse prima del 1233 nel significato di uva (con forma di pigna) o vitigno (che porta quei grappoli) e che il vino che se ne ricava abbia assunto il nome poco più tardi. Il fatto che nel Trecento emerge prima la forma maschile fa desumere che sia esistito prima il vitigno. Nella lingua italiana la denominazione entra presumibilmente la prima volta un secolo più tardi (CrescenziVolg). Dal sec. XV al sec. XVI un pignolo proveniente dal Friuli è conosciuto in Germania (pinol, Wis, NM 59). Per quanto riguarda la denominazione francese pinot (dalla fine del sec. XIV, Deschamps, FEW 8,549b) anch’essa risale al lat. PINEUS. Oggi questa forma esiste in Italia accanto alla forma it. pignolo e quest’ultimo spesso viene usato come sinonimo del primo. Comunque non sempre si tratta dello stesso vitigno. Il vitigno francese non è pervenuto in Italia prima del Sette/Ottocento. La sua denominazione però al di là dell’ambito locale e regionale attualmente è più diffusa. Del resto pare che le denominazioni derivati dal lat. PINEUS siano diffuse un po’ dappertutto dove si coltiva la vite.
DEI 2917; FEW 8,549b; Wis, NM 59.
La via Greca
Sebbene il grechetto di Trinci fosse Malvasia, esiste anche in letteratura un “ruibola vel greco” ” (robiola o greca) ufficializzata come Rebola nel 1996 per la denominazione Colli di Rimini. La cosa ci interessa perchè parrebbe che Rebola sia il nome locale riminese del Grechetto Gentile di Bologna. Viene citato in un fantomatico “testo del 1378” di cui non ho trovato però alcun riferimento. Esiste, semmai, un documento del 1300 che racconta della vita di Nicola di Lorenzo Gabrini detto Cola di Rienzo, tribuno romano che tornato nella capitale si lasciò andare al bere, con vini quali malvasia e rebola. Questo testo ha avuto diverse traduzioni tra cui anche una a cura del Muratori, grande intellettuale Modenese.
Era questo uomo fortemente mutato da li primi suoi modi, solea prima esser sobrio, temperato, astinente, ora è diventato distemperatissimo bevitore, sommamente usava ‘l vino, ad ogni ora confettava e beveva, non ci servava ordine nè tempo, temperava ‘l greco col flaviano (forse Montepulciano), la malvsia con la rebola, ad ogni ora era del bevere più fresco; orribil cosa era patir di vederlo; troppo bevea; dicea che ne la prigione era stato ascarmato; anco era diventato grasso sterminatamente, avea una ventresca tonda trionfale a modo di un abbate asiano.
La Vita di Cola di Rienzo, Incerto autore, xec. XV
Ma perchè rebola? Qui ci viene in aiuto un testo dell’Ottocento, relativamente a un vino chiamato rebola in Friuli, l’attuale Ribolla Gialla del Collio,
Questi due vini [elvola e aminea] corrispondono alla Rebola del Coglio ed al Cividino del basso Friuli. Sono ambidue vini bianchi, e ricercati in modo particolare dai popoli della Carniola e Carintia. Il nome di Rebola deriva dal vocabolo 1 latino helvola: con cui denotavasi la stessa uva a que’ tempi, come lo dimostra la uniformità della desinenza, e meglio ancora il colore de’ suoi acini. L’uva di tal nome ha un certo rosso pallido, qual’ è appunto il colore che dicevasi helvus dai Latini. Nel Cividino si combinano i connotati assegnati da Virgilio pel secondo vino, cioè di essere un vino da durata, 2 vinum firmissimum e di venir prodotto da una vite scevra di minio, aminea. Certe viti, come il refosco e simili varietà, contengono nella cellulare della 3 parte legnosa una sostanza colorata che imita il cinabro detto minio dai Latini. Questa sostanza al tempo della lagrimazione scola fuori pei tagli della potatura insieme colla linfa della vite, e tinge gli strati mucilagginosi che vi 4 si formano intorno al tronco. La mucillaggine 5 che si condensa sulla vite del Cividino non è rossa, ma pallida.
Indagine sullo stato del Timavo e delle sue adjacenze al principio dell’era cristiana, Giuseppe Berini – 1826
Un testo di Tommaso Tamanza sui grandi architetti del passato narra la vita di Michele Sammicheli di Verona, architetto nato nel 1484 che riceve in dono “Quinci nel 1552 in quadragesima lo regalò d’olive malvagia e rebolla cose al ghiotto Aretino gratissime perchè pur egli le facea prodigamente gustare alla sua allegra brigata Il dono a che mi faceste l’altro jeri così scrisse lo stesso Aretino al nostro Architetto de le olive & de la malvagia non dovea comportare la giunta de la rebola bevanda non pure da Tedeschi e Francesi ma da Italiani ancora Imperochè bastava”.
Rebola o greca che sia, la mia impressione è che quello che oggi chiamiamo genericamente grechetto (pare che la Rebola Riminese sia geneticamente un sinonimo di Grechetto di Todi) non sia che una delle tante uve di origine greca selezionate in Romagna tra Forlì e Rimini.
Conclusioni
Concludo con un po’ di considerazioni del tutto personali.
Premesso che non c’è collegamento tra Pignole e Pignoletto/Grechetto, ampiamente sostenuto da prove.
Sulla base di quanto documentato, è evidente che Bologna vantava già da tempo una tradizione di raccolta di uve bianche provenienti da tutto il territorio circostante, inclusa la Romagna con le sue numerose varietà di importazione greca, tra cui profumati Moscati e Malvasie. Va considerato che i testi storici menzionano principalmente vitigni ampiamente diffusi, lasciando immaginare quante altre varietà esistessero e quante siano andate perdute nel corso dei secoli.
Il vitigno in questione, penso una qualche forma di Malvasia (si veda il recente libro di Scienza con le analisi e la storia di questo vitigno), si è probabilmente intrecciato con numerose altre varietà anonime nella zona di Forlì, dove è stato poi studiato e selezionato nei primi anni del Novecento. Successivamente è stato coltivato a Bologna come alternativa profumata locale alle Malvasie di Parma, allo Zibibbo e al Trebbiano di Spagna comuni a Modena o agli Albana romagnoli.
Questo vitigno, adatto a lunghi invecchiamenti ma caratterizzato da note amarognole difficili da attenuare, si rivela chiaramente inadatto alla produzione di vini frizzanti e invece destinato a lungo invecchiamento, anche in botte. Ciò solleva legittime perplessità su come sia stato incluso nella DOC di un territorio che, per altro, privilegia vitigni internazionali di origine francese dimenticando completamente le varietà locali reali.
Detto questo, l’Alionza parmi una varietà tutto sommato simile e qualitativamente molto più interessante. Questa si, Bolognese DOC.
- Analisi genetiche su eventuali tracce o il parere di un archeobotanico non sarebbero male, eh. -Mick ↩︎
- Questo non prova nessuna correlazione. Che Bologna fosse terra di uve bianche almeno fino all’arrivo del Negrettino è risaputo, ma non leggo di nessun possibile legame con una varietà in particolare come ad esempio per la Prusinia modenese ↩︎
- Questo in realtà mi fa male, perchè in molti testi più recenti Pomoria e Pellegrina sono sinonimi. ↩︎
- Secondo Cavazza Bianchino era un sinonimo di Montù. Così non parrebbe da questo elenco visto che compaiono entrambi. ↩︎
- Secondo Cavazza Moentoncello era un sinonimo o sottovarietà di Montù. In questo elenco compaiono entrambi ↩︎
- L. Zerbini – Annali della Società agraria della provincia di Bologna – 1912 ↩︎