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Oh, quant’è bella l’uva termarina?

Oggi parliamo di uve. In particolare di un’uva rara e dai molteplici usi culinari, una varietà profumata e senza semi con una storia secolare.

La termarina nera, o rossa, è un’antica e uva coltivata oggi quasi solamente nei territori di Reggio Emilia e Parma, anche se ci sono custodi, quasi tutti privati, un po’ in tutta la regione dell’Emilia-Romagna, dal confine settentrionale fino alla costa. Si tratta di un’uva che cresce naturalmente senza semi (in gergo “apirena”) e citata sin dal Rinascimento, un’uva straordinaria per confetture e saba, ma anche per vini profumati e uva passa.

La Termarina (o Tremarina, o Passerina) ha la caratteristica di presentare dei piccoli acini intervallati talvolta con altri più grossi, questi contenenti i semi. Anche se le sue origini sono molto antiche, probabilmente almeno medievali (è un’uva usata spesso nella preparazione tradizionale del savurètt, una confettura dell’appennino reggiano-parmense, di origine mevievale) viene citata dal monaco agronomi Agostino Gallo nel ‘500 e dal ‘700 il suo nome è stato associato alla “Termarina Bianca” e alla Malvasia aromatica di Candia con con la quale si trova spesso menzionata con il nome (errato) di Candia Rossa, ma non vi sono correlazioni tra le due varietà. Quest’ultimo vitigno bianco aromatico infatti fu probabilmente introdotto in Italia grazie agli scambi commerciali della Repubblica di Venezia con l’Egeo.

Secondo una teoria filologica, il nome del vitigno deriverebbe dal latino “ultra + marinus”, ovvero “al di là del mare”, da cui “Uva d’oltre mare” e, attraverso “Oltremarina”, “Tra marina” per arrivare a “Termarina”. Il nome potrebbe anche essere collegato ad un modo di dire dialettale tipicamente emiliano “la va’ in termareina”, che si riferisce alla presenza di acinellatura (mancanza di semi) nel grappolo, come in effetti accade anche per la Termarina in cui la maggior parte degli acini sono apireni (ovvero senza i semini, i vinaccioli).

La diffusione della coltivazione in Emilia-Romagna della Termarina, pur con nomi diversi, nell’800 ci viene descritta da varie fonti. Il marchese Vincenzo Tanara, agronomo bolognese del ‘600, nella sua opera “L’economia del cittadino in villa”, parla espressamente di Tremarina, che come la Lugliatica, si presta ad essere “potata a pergola”. Nella sezione dell’opera dedicata alla cucina, poi, consiglia di spargere grane di tremarina in una particolare insalata e cita tra le materie prime da tenere in dispensa “Uva tremarina bianca, e negra”.

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Storicamente la Termarina veniva utilizzata non solo come ottima uva da tavola, ma come detto prima anche per la produzione di confetture tra cui il tradizionalissimo saporetto, per la saba (il mosto cotto che sta alla base dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, ad esempio) e ovviamente, vini. Grazie al suo elevato grado zuccherino viene spesso lavorata senza l’aggiunta di ulteriore zucchero le confetture, più naturale di così! Per un’esperienza davvero straordinaria, dovreste assaggiarla in versione appassita.

Anche se la resa in mosto è bassa, il vino prodotto da questa uva è molto interessante, di colore rosso rubino con note di rosa e frutti di bosco, accompagnate da sentori speziati. Al gusto, il vino ha una buona struttura, media acidità e persistenza gustativa. Pochissimi produttori ancora coltivano quest’uva, ma ho trovato la composta e il vino ad una fiera sui frutti antichi un paio d’anni fa a Piacenza.

Nonostante i suoi molteplici utilizzi, la Termarina è entrata in disuso principalmente a causa di fattori economici e produttivi. Dal 2007 è entrata nel registro dei vitigni nazionali.

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Mick

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