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I Maccheroni alla Bolognese

Per Bianchino e Sibillone

Pellegrino Artusi era un uomo benestante, nato in quella che sarebbe divenuta Romagna nell’Italia preunitaria, nei primi anni dell’Ottocento. Un uomo che ebbe sostanzialmente due vite, spaccate da un evento di violenza accaduto all’uscita di un teatro, non dissimilmente da quello che accadde a Batman e i suoi genitori, una specie di cavaliere oscuro della gastronomia insomma, con una seconda vita più disillusa, a volte cinica, ma con un profondo senso dell’etica e della morale.

Artusi nasce in un’ambiente agiato, privo di un’istruzione approfondita e dedito ai piaceri che la sua stazione gli permetteva fino ai trent’anni, nell’allora stato della Chiesa, ai tempi in cui l’agitarsi delle lotte seguite al caos del 1848 portarono alla prima delle tre Guerre d’Indipendenza d’Italia. Al tramonto della prima di queste, poco prima che Cavour diventasse Primo Ministro, un giovane Artusi percorreva la via di casa dopo aver visto un poema ispirato ad un’altra battaglia, una narrazione biblica che portò alla morte del generale cananita Sisara per mano di una profetessa dìIsraele. La spirale di violenza che il trentenne Artusi vide sul palco però purtroppo non si estinse in teatro, perché la sua casa era stata devastata dai briganti, e alle sue sorelle fu riservata una sorte spaventosa.

Il carattere e la vita di Pellegrino quel giorno ebbero una profonda svolta. Si spostò a Firenze e molto presto si ritirò ad una vita di studio nell’allora Granducato di Toscana. Le altre Guerre imperversavano e forti correnti culturali portavano rivoluzioni impensabili anche in ambito accademico (spesso il suo percorso si incrocià con la cattedra di Agricoltura di Firenze). Si dedicò alle arti, alla letteratura, nonché alla gastronomia, con un taglio disilluso e ferocemente anticlericale. Non nascose mai la sua avversione per la religione, preferendo una visione più laica e universale dei grandi principi di progresso e convivenza tra popoli. Uno di questi era la fusione consapevole delle culture, che nel cibo vedevano espressione diretta delle loro identità. Le peripezie che affrontò per pubblicare la sua celeberrima raccolta di ricette e riflessioni scientifiche sulla cucina regionale Italiana all’alba della sua fondazione sono tante e meritano un articolo a parte, ma è interessante vedere come l’evoluzione del manoscritto da meno di 500 ricette (475) per lo più del Nord Italia terminarò con una versione di quasi 800, diverse edizioni dopo, tutte curate da lui. Oggi narreremo di una di queste, che Pellegrino riporta dalla sua esperienza nella Bologna non troppo lontana dai suoi natali, i Maccheroni alla Bolognese.

Un mezzo bicchiere di panna rende il tutto più delicato, dice il Pelly

Pellegrino descrive le sue ricette inserendo riflessioni di carattere più o meno scientifico. In questo caso non è particolarmente gentile con la pasta che ha conosciuto nella sua Toscana, dove risiedette, per altro, fino alla morte. Nella descrzione dei suoi maccheroni descrive la pasta di grano tenere come una pasta che tende a sfaldarsi. A quei tempi, Strampelli non aveva ancora sviluppato le sue nuove varietà, è presumibile che Pellegrino si riferisse a qualcosa di simile al grano dell’abbondanza, conosciuto da secoli (forse addirittura dai tempi del Romano Impero) e identificato da Linneo a fine ‘700.

La prima cosa che colpisce dei suoi maccheroni è che sono “in bianco”. Il pomodoro ancora non era entrato totalmente nelle ricette di pasta come lo usiamo oggi, non sorprende che l’utilizzo di una miscela di carni magre bovine e grassi suini, unito alla combinazione farina/burro/panna ricordi più il ripeno di una lasagna che non un ragù di oggi, anche se Bolognese.

Anche l’aggiunta suggerita di panna, interiora di pollo, o tartufi, ricorda i profumi di una sofisticata pasta al forno.

Andando agli ingredienti proverò a suggerire qualche varietà della biodiversità emiliano-romagnola, in concomitanza con l’idea Cornucopia.

Maccheroni alla Bolognese

  • Carne magra di vitella (meglio se nel filetto), razza Romagnola gr. 150.
  • Carnesecca (pancetta tesa e salata, di Mora Romagnola), grammi 50
  • Burro (Bianca Val Padana o Rossa Reggiana), grammi 40.
  • Un quarto di una cipolla comune.
  • Una mezza carota.
  • Due costole di sedano bianco lunghe un palmo, oppure l’odore del sedano verde.
  • Un pizzico di farina, ma scarso assai (qualche varietà dell’appennino, un Mentana ad esempio).
  • Un pentolino di brodo.
  • Sale pochissimo o punto, a motivo della carnesecca e del brodo che sono saporiti.
  • Pepe e, a chi piace, l’odore della noce moscata.

Tagliate la carne a piccoli dadi, tritate fine colla lunetta la carnesecca, la cipolla e gli odori, poi mettete al fuoco ogni cosa insieme, compreso il burro, e quando la carne avrà preso colore aggiungete il pizzico della farina, bagnando col brodo fino a cottura intera.

Scolate bene i maccheroni dall’acqua e conditeli col parmigiano e con questo intingolo, il quale si può rendere anche più grato o con dei pezzetti di funghi secchi o con qualche fettina di tartufi, o con un fegatino cotto fra la carne e tagliato a pezzetti; unite, infine, quando è fatto l’intingolo, se volete renderli anche più delicati, mezzo bicchiere di panna; in ogni modo è bene che i maccheroni vengano in tavola non asciutti arrabbiati, ma diguazzanti in un poco di sugo.

Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene
Pantagruele sembra apprezzare

Mick

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