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Ritornando sui passi della Forcella

[A integrazione e correzione dell’articolo Una forcella per i capelli.]

La riscoperta dei vecchi vitigni bolognesi come l’uva Forcella nonostante un sistema ormai degenerato è un dovere morale, ma anche un’astuzia a livello economico. E’ come avere un patrimonio di progetti concreti da mettere in opera ma ostinarsi a voler taroccare prodotti esteri a basso costo. Ed è quello che sono, a mio avviso, i vitigni francesi dei colli bolognesi: prodotti talvolta anche di grande pregio (altre volte scarto dozzinale da GDO) ma sostanzialmente roba che non ci appartiene per davvero, a livello culturale. La DOC e DOCG dei Colli Bolognesi è qualcosa di sconsolante.

E così, la nostra piacevole ossessione-passione per gli autoctoni ci porta questa volta a valutare un altro grandissimo vitigno delle nostre zone, la Forcella, conosciuta a Modena come Forcelluta da almeno tre secoli e completamente scomparsa nella nostra provincia. Qualcosa, l’abbiamo salvata, a Castelfranco Emilia, forte di confine tra Modena e Bologna passate alla provincia di Modena solo nel 1929 quando ci fu un generale reassetto delle comuni. Quindi parliamo di un vitigno Bolognese, probabilmente (vogliamo credere sia lo stesso citato da Tanara nel XVII secolo) che anche nella vicina Modena ha vissuto tanto (almeno a Carpi, Sassuolo, Mirandola), ma è poi stato spazzato via dai medicai per le bovine da latte e dalle vigne basse di Lambrusco, o al più dal Trebbiano che ormai si usa solo per aceto balsamico tradizionale. Delle cento e passa varietà presenti a inizio Novecento, a Modena ne sono rimaste una manciata (interessante il recente revamp dell’immagine del Trebbiano di Spagna), a Bologna, invece, praticamente nessuna. Qualcuno si azzarda oggi sui Negretti (Negrettino nello specifico), e grazie a un progetto coordinato dal CRPV qualche anno fa qualche altro vitigno dell’Emilia-Romagna è stato recuperato per microvinificazioni che però sembrano essersi stabilizzate nelle vigne di riferimento del progetto. Ma senza Erioli a Bologna, o Plessi a Modena, al momento sembrano iniziative che faticano a partire. Comunque, giusto per dire che a Modena la situazione è triste, ma almeno i Lambruschi sono rimasti. Con i nemici-amici petroniani, la situazione oscilla tra il grottesco e il tragico, con quel terrificante vitigno che è il Grechetto Gentile con il quale vengono prodotti perlopù vini frizzanti in autoclave ottimi per sverniciare le carrozzerie (qualcosa di buono c’è, sia chiaro, ma parliamo di una percentuale minima).

Ma torniamo a noi e identifichiamo bene questa Forcella. La Forcella NON è la vite di Imola centenaria di cui parlavo nell’altro articolo, e NON è l’Albana della Forcella, come per altro scritto ovunque per cui non c’è rischio di sbagliarsi. E non c’entra nulla con la Forcellina/Forsellina a bacca nera del Veneto, seppure questo vitigno fosse coltivato anche a Verona ed era a bacca bianca quindi forse ci fu una piccola sovrapposizione di terminologia.

Nota: La scheda seguente non è stata compilata da un professionista ne’ da un tecnico. Sono solo appassionato di storia locale e enogastronomia. La registrazione di questi vitigni è seguida da un agronomo e da diversi viticoltori che conoscono l’argomento molto meglio di quanto possa fare io.

La Forcella nel cuore di Bologna, anni ’80 del secolo passato

La Forcella

Sinonimi accertati: Forcelluta (Modena), Forcella Bianca (Bologna), Sforcelluta, Forzellina, Forzella, Uva Forchetta?
Sinonimi dialettali: Sforcellina (Imola), Forcellata Bianca (Sassuolo), Leonza Forcella? (Ferrara)
Sinonimi errati: Vite di Imola, Albana della Forcella, Forcellina, Forsellina

La prima menzione a un vitigno con questo nome, come spesso accade, è nel famigerato L’economia del Cittadino in Villa di Vincenzo Tanara.

La Leonza il Barbosino il Leutino la Bagarella la Forcella con poch'acqua fanno Vino piccolo, & insipido. La Pomoria [...] Peregrina fà vino brusco, piccolo e dura assai...

Come già successo quando abbiamo trattato la Ciocchella, nel 1812 Filippo Re riprende i nomi delle uve citate dal Tanara e ne identifica diverse tra quelle presenti nel campo dell’università a Bologna. Propone come nome latino di questa varietà furcula. Pochi anni dopo, l’esploratore mantovano Giuseppe Acerbi scrive il suo famoso trattato sulle viti d’Italia, dove viene menzionata di nuovo la Forcella tra le uve, sempre di Bologna.

I primi tre testi quindi parlano di un’uva del territorio bolognese. Nel 1845 perà esce un breve testo sullo stato dell’agricoltura ferrarese dove si menziona una “Alionza Forcella”. Non ho trovato altre fonti quindi questo potrebbe essere anche un particolare da prendere con le molle. Poco prima, nel 1839 il conte Gallesio accenna ad una Forcella coltivata nell’areale di Bologna.

Nel 1851 e nel 1854 però arrivano due pubblicazioni modenesi decisamente più rilevanti, scrite dal carpigiano Luigi Maini. Dapprima in una rivista locale, e poi nel suo testo Catalogo Alfabetico di quasi tutte le uve o viti coltivate nelle provincie di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari con altre notizie relative pubblica una scheda (la stessa) dove descrive così la Forcella, che lui chiama Forcelluta:

Forcelluta: così detta per avere nell estremità bipartito il grappolo a maniera di forcella è uva a sufficienza buona e regge molt'acqua: il vino non è troppo gagliardo, nè delicato, ma tollerabile. Il grappolo è lungo e bipartito nel fondo; le grana sono anzi minute che grosse, e fitte; il colore giallo, e lucidetto.

Arriviamo all’unità nazionale. Dieci anni dopo, nel 1865, Lawley pubblica il suo testo Manuale del Vignajolo, dove fa menzione della Forcella, questa volta con il descrittivo Forcella Bianca, in quanto uva di Bologna. Questo termine, Forcella Bianca, apparirà poco dopo nel 1877 nel Nuovo trattato teorico-pratico di viticoltura e vinificazione” di Pietro Selletti. Sempre nello stesso testo nella sezione sui vini rinforzati, Lawley riporta il seguente testo, usando una variante del nome Forzella:

Fra i diversi sistemi adottati per ottenere vini rinforzati, piacerà rammentare quello adottato dal sig. Attilio Ferrarini, di Reggio dell’Emilia, il quale dopo essersi occupato moltissimo della vinificazione oggi è pervenuto a mettere in commercio un vino denominato Dinazzano secco, che riesce molto buone qualità. Il metodo tenuto da lui nel fare questo vino è il seguente. Scelte e colte le uve bianche le più mature e le più perfette, le stende sopra canicci, onde appassire un poco, trattenendovele però pochi giorni, quindi le torchia e ne estrae il mosto che getta in tini a doppio fondo, ed ermeticamente chiusi. In questi tini tiene il vino due anni senza toccarlo, decorso il qual tempo lo svina e lo mette in damigiane, facendovelo chiarire con sangue di bove, prima di imbottigliarlo.

Le specie di uva adoperate per far questo vino, e che mi inviò nel 1862, e delle quali pesai la densità del mosto col gleucometro, sono le appresso:

Trebbiano romano: Gradi 16½
Trebbiano fino: Gradi 16½
Malvasia: Gradi 16½
Forzella: Gradi 18
Occhio di gatto: Gradi 15½
Spergolina matta: Gradi 15
Spergolina da vino: Gradi 16
Squerza foglia: Gradi 15

Tutte specie bianche, e dai gradi sopra notati che serbavano, sarà facile dedurre la buona qualità di vino che Ferrarini ne ottiene.

Il sig. Vincenzo Viganò fa egli pure nella stessa città un vino rinforzato, che viene in commercio conosciuto col nome di Montericco secco. Il modo che tiene per farlo è il seguente. Appassisce l’uva, la torchia e quindi pone il mosto in tini ermeticamente chiuso: dopo un anno lo mette in botti di circa 700 bottiglie, ve lo tiene pure un anno, e dipoi chiarito lo mette in bottiglie. Però è da osservarsi che della prima torchia tira il vino di prima qualità, e delle altre ne fa un vino a parte. Mette di più una data quantità di raspi nel tino a fermentare col mosto, sostenendo egli che quelli danno il sapore che caratterizza il suo vino.

Sembra proprio fosse un’uva capace di produrre un bel po’ di gradi.

Ma è poco prima, a Modena, che nel 1867 Agazzotti di Colombaro di Formigine finalmente ci descrive la pianta come si deve!

Grappolo grande e lungo, piramidale fino a metà, poi cilindrico fino all'estremità inferiore, la quale appunto, biforcandosi in due eguali appendici, conferisce all'uva il nome di forcella: e quando nel grappolo non riscontrasi questa biforcazione, non manca un certo ingrossamento a guisa di manico, così che quest'uva si riconosce subito alla sola vista del grappolo; offrendo ancora un altro distintivo nel fogliame profondamente frastagliato e dentato, e di un gialletto verde più chiaro delle altre uve bianche; la metà superiore del grappolo poi è dotata di grossi graspoletto, che sembrano grappoli accessori, con grani di comune compattezza.
Acino sferico di grossezza ordinaria (13 a 14 millimetri) traslucido tanto da lasciar scorgere l'embrione vinacciuolo ben polputo; ha polpa acquosa.
Buccia di comune consistenza, liscia, coriacea, giallo-dorata, spesso giallo-rosá, trasparente.
Sugo acquoso, abbondante, dolce, agretto, asciutto, con fondo stiptico tanninico, inaromatico, che appena si colora in giallo.
Uva di qualche merito, sia come mangereccia, sia per vino. Se però sta sola, lo dà troppo insipido e tendente ad infiorire; perciò sta bene mescolarla ad altre grasse e melate, come la galletta n. 16, ed anche, aromatiche come malvasia romana n. 18, moscato dalla rete n. 33, o schiavona n. 102; così si correggeranno a vicenda e daranno vini eccellenti, invecchiati che siano, purchè non sia stata ommessa in questo clima la preventiva saccarizzazione e concentrazione del succo, ma con queste operazioni se ne eleva di molto il prezzo a confronto di quello che potrebbe ottenere adoperandolo per i vini cosí detti colati o per far torbolino.
La vite è di ordinaria coltivazione e buona produttrice.

1871, altra mezione della Forcella a Bologna nell’appendice del testo Sul Miglior Modo di Coltivare la Vite in Italia. Dieci anni dopo, 1881, esce Notizie Concernenti la Scuola e Monografie dei Gabinetti dove la Forcella viene annoverata tra le migliori uve da vino.

Nel 1877 esce il celebre testo di Conti di Rovasenda, dove vengono descritti quattro vitigni dal nome simile. Una di queste, la Forcellina di Verona, io mi sento di escluderla dalla lista, siccome esiste un vitigno anche oggi coltivato callo stesso nome o simile, la Forsellina. C’è però la Forcella Bianca di Bologna (avevamo visto quel “Bianca” anche nel 1867, con Lawley), una Forcellata Bianca di Sassuolo (prima volta che leggo questo termine, che sembra essere tratto da un giornale Milanese dell’epoca intitolato La Vite e il Vino, che mi sono ripromesso di consultare in Biblioteca Estense). C’è infine la Forcelluta descritta da Agazzotti. Strano che venga citata come un’uva diversa ma io penso sia la stessa della Forcella Bianca di Bologna. Le descrizioni corrispondono.

Nel 1879 esce il Bollettino Ampelografico, dove questa uva è citata come uva di collina, a bacca bianca. Ne segue una precisa descrizione.

10° Forcella, Forcellina, Sforcella, Sforcellina.
a) Nozioni generali sul vitigno e sua indole. Il germogliamento è tardivo, cioè verso la seconda decade di aprile: la sua vegetazione è robusta, ma poco resistente alle brinate ed all'oidio. È tenuto a coltura mista, di rado a vigna; a tutt'altezza, è affidato agli alberi, a mezzana altezza, si affida ai pali secchi; nel primo caso si sceglie l'olmo, nel secondo il palo. La potatura che predilige è quella lunga. Fiorisce tardi, generalmente verso la prima decade di giugno. Il grappolo prima della fioritura non ha colore, né forma speciale; esso è di facile allegagione. La fruttificazione è poco sicura e piuttosto abbondante. Il frutto matura ad epoca media, vale a dire verso l'ultima decade di settembre. Quest'uva è usata pel vino. L'importanza della sua produzione totale, a confronto delle altre uve nella stessa località coltivate, è di una mediocre importanza.
b) Parte legnosa. I tralci di questo vitigno sono lisci, di media grossezza, duri al taglio, di colore biancastro come l'avellana. I nodi non sono molto grossi, ed hanno quasi il medesimo colore del tralcio. Gli internodi sono piuttosto lunghi, ma disuguali. Le gemme poco tomentose e sporgenti.
c) Parte erbacea. Il germoglio è cotonoso, con foglioline colorite in rosso all'orlo; i viticci sono suddivisi, frequenti, e robusti. La foglia completa è di media grandezza, di color verde-chiaro alla sua pagina superiore, colore che si muta in gialliccio nell'autunno. Detta foglia è piuttosto consistente, morbida, piuttosto liscia, ondulata, sprovvista di peli alla pagina inferiore, e questa è di color verde-pallido. La foglia medesima è divisa in cinque lobi irregolari, allungati, con seni profondi, ellittici, larghi, rotondati al centro ed aperti al margine. I lobi della base formano, all'inserzione del picciuolo, un seno aperto e rotondato. Il margine della foglia presenta una dentatura larga, acuta, spiccata, uncinata. Le nervature sono poche rilevate, e non rosseggianti al centro. Il picciuolo, relativamente alla costola mediana della foglia, è piuttosto lungo, di media grossezza e di color verde o rossigno. La caduta della foglia è precoce.
d) Frutto. Il grappolo è quasi cilindrico, biforcato all'estremità, alato, piuttosto sciolto, lungo, ordinariamente grosso; il raspo è biforcato all'apice; il peduncolo è robusto e lungo; i pedicelli sono piuttosto corti e di colore verde pallido, portanti acini di media grossezza e subrotondi. Questi hanno buccia leggermente pruinosa, sottile, ma non floscia, di colore giallognolo, con sfumatura rossa; non va molto soggetta ad infracidare. La polpa è alquanto carnosa e croccante, con leggero aroma e di sapore gradevolmente acidulo. Contiene due vinacciuoli, generalmente, piuttosto grossi e gibbosi.
e) Mosto. Il mosto, che da quest'uva si ottiene, ha il 20 per cento di sostanza zuccherina ed il 0,386 di acidità.
f) Vino. Il vino che esso dà è secco e da pasto.

Nel 1880, il conte Francesco Massei, in una sua memoria, riferisce che “le uve che si coltivano in vigna sono prevalentemente, anzi quasi esclusivamente nere, quelle coltivate in filari, bianche, delle qualità da che tempo immemorabile si coltivano nell’Agro Bolognese” e annota che “le uve bianche più stimate nella collina bolognese sono: la leonza, l’albana, il montù, la forcella”.

Passano sei anni, e nel 1886 il nostro Enrico Ramazzini che già avevamo conosciuto parlando della Ciocchella, pubblica una sua ricerca sul mosto ricavato da uve coltivate con il sistema dell’alberata. A Modena, nella zona di Santa Croce (Carpi), Ramazzini rileva che il mosto di Forcella contiene 18% di glucosio e 0.81 di acidità. Il vitigno pare essere poco apprezzato però.

E’ il 1889 quando viene pubblicato il Dizionario Metodico-Alfabetico di Enologia e Viticoltura. La Forcella viene menzionata tra le uve di altri colori, probabilmente dovuto alla sua caratteristica di assumere toni rosati sui grappoli esposti al sole. Si vede anche nella foto qui nell’articolo.

Siamo vicini alla fine del secolo e in “Notizie e studi Intorno alle viti e ai vini d’Italia” di nuovo la Forcella è collocata a Bologna come uva di grande diffusione. Nella Regia Scuola Pratica di Agricoltura in Imola la Forcellina è coltivata in almeno tre punti distinti con valori di glucosio analoghi con punte del 21.5 e acidità leggermente inferiori (0,7). C’è anche qualche nota interessante sulle rese, che sembrano molto buone. Forse questa Forcellina, o Sforcella, sarebbe la famigerata “Forcella” centenaria di Santa Maria in Regola di cui parlavo nell’articolo passato?

Scavalliamo il Novecento. Nel 1903 c’è un interessante articolo dell’Enologo Domizio Cavazza nel volume Italia Agricola dove si parla di vigne e varietà coltivate nella frazione di Moglio, Sasso Marconi (BO), naturalmente in zona collinare. L’articolo parla per lo più di Negrettino ma anche di uve bianche: “…La Forcella, il Montù e più tardi qualche altra varietà locale trovò posto nelle vigne di Moglio. Con questi vitigni e coll’Albana, già ricordata, si costituì il gruppo destinato alla produzione del vino bianco, veramente ottimo, che ebbe anche l’anno scorso il premio straordinario offerto dal signor D.r J. Bassermann, per un concorso speciale di vini bianchi, indetto dal Circolo enofilo italiano di Roma”.

Nel 1906 nel suo volume Ampelografia, Molon la chiama anche Uva Forchetta.

nel 1912 il Ministero d’agricoltura pubblica un bollettino, dove compare per la prima volta il termine Sforcella, come uva dei dintorni di Imola a Sesto Imolese, proprietà in piano di un tale Civili. La coltivazione anche qui è ad alberata (alta) e i valori di glucosio un po’ diversi da quelli di Ramazzini (16,25%) mentre l’acidità va sui 0.862, siamo lì (cambia terreno, clima ecc.).

Siamo all’alba della Prima Guerra Mondiale e el 1914 viene pubblicata la mastodontica Nuova Enciclopedia Agraria. La Forcella compare con sinonimi menzionati di Forcellina (non facciamo confusione con l’altra Forcellina veneta) e Forcelluta. Ne segue una approfondita descrizione che si sovrappone molto bene con quella vista in precedenza nel Bollettino Ampelografico del 1879.

39. Forcella, Forcellina, Forcelluta. — Così chiamata per la forma bifida che talora presenta la punta del grappolo, è vitigno dell'Emilia e del Veneto, specialmente coltivato nella provincia di Bologna, ove il Tanara, nella sua Economia del cittadino in Villa, ricorda la Forcella per la produzione dei vini da pasto. Da alcuni è scambiata con l'Albana (Albana della Forcella).
È vitigno rustico, di portamento espanso, di produzione abbondante, adatto alle fertili pianure e all'allevamento sull'albero. Tralci color nocciola, robusti, con corteccia aderente, finemente rigata; internodi medi. Germoglio robusto, eretto, scanalato, verde, cotonoso, biancastro, orlato di roseo; gemme coniche, sporgenti, coperte di peluria color ruggine. Germogliamento tardivo. Viticci esili.
Foglia di media grandezza, tondeggiante, tri- o quinquelobata; seno picciolare a lira, piuttosto chiuso. Picciolo forte, poco più corto della nervatura mediana; coperto di peluria cotonosa; tinto di carmino pallido nella pagina inferiore. Nervature verdi, rilevate. Pagina superiore della foglia d'un verde pallido, poco diverso da quello dell'inferiore, ove scorgesi una peluria leggera, diffusa, specialmente nelle nervature. Dentellatura mista, acuta, spiccata, con orlatura rossa.
Grappolo di media grossezza, conico o cilindrico, talora alato, finito in punta tozza, larga e talora biforcata per la deviazione della estremità del graspo; graspo forte, verde fino alla snodatura, poi diventa legnoso all'avvicinarsi della maturazione. Pedicelli robusti, verde pallido. Grappolo piuttosto spargolo, specialmente nella parte alta. Acini subrotondi, grossi o medi; trasparenti che diventano leggermente dorati, o rosei dalla parte del sole; restano, invece, di un verde opaco se nascosti sotto il fogliame. Sono coperti di una leggera pruina cereo-pallida; buccia elastica; polpa fondente, alquanto glutinosa attorno ai vinaccioli. Sapore fresco, dolce-acidulo. L'acino facilmente si stacca alla maturazione, che avviene alla fine di settembre. Vinaccioli per lo più due, aderenti, con becco allungato, biancastro.
L'uva rende assai in mosto. È ottima per la vinificazione. Se ne fa anche uva secca. Il mosto raggiunge 20 a 22 gradi di glucosio. Di rado la Forcella è vinificata a parte. Per lo più entra in mescolanza con le altre uve per la produzione dei vini bianchi, per cui va rinomata quella regione.

C’è un ultimo testo che parla di Forcella nelle alberate di Bologna nel 1925. E poi, a parte qualche menzione in riviste specializzate, più nulla. Qui dove vivo io, a Castelfranco Emilia, l’uva era conosciuta da alcuni contadini ma stranamente solo di nome dai vivaisti che moltiplicavano le piante per le aziende agricole locali. Nel Bolognese però il ricordo è più vivido. A Modena, non pervenuta la Forcelluta di Agazzottiana memoria.

E il vino?

Alcuni dei testi che ho riportato in precedenza parlano di un vino insipido, o nel migliore dei casi secco, tollerabile, da pasto. C’è però già chi parla di un’uva delle migliori per il vino, e ricordiamo il premio Bassermann nei primi del Novecento, che ci dovrebbe far capire come i migliori vini derivino da “saggi uvaggi”, consigliati anche da Agazzotti. Il grado importante che questa uva svolge sembra richiedere qualche forma di taglio, chi la sta coltivando dice che passa in purezza facilmente i 14 gradi. Forse chi parla di “uva delle migliori da vino” potrebbe riferisi alla sua produttività (“migliore” in senso economico)?

Chi sta facendo oggi prove di microvinificazioni giura che dia un mosto davvero molto interessante, magari proprio per grandi spumanti tradizionali delle colline Bolognesi.

Ce la faremo un giorno a liberarci di questi vitigni francesi senza personalità e senza identità?

Un primo assaggio della Forcella avrò modo di darlo a brevissimo, ne parlerò su Discord attraverso la mia pagina Patreon! Se vi va di sostenere questo progetto di ricerca su vitigni autoctoni e antiche pratiche vitivinicole tradizionali iscrivetevi per altre info.

Alla prossima!

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